COMUNICAZIONE
TRIBUTARIA N. 30 (versione
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1. Premessa: le prospettive
prevedibili del regime dei contribuenti minimi
3.
La situazione attuale: l’analisi comparata dei regimi di franchigia Iva
La deroga concessa dall’Europa
all’Italia per elevare il regime di franchigia Iva stabilito dalla direttiva a
30 mila euro, scade con l’anno 2010 cfr Decisione
del Consiglio UE 15 settembre 2008 commentata nella Com. trib. 25 settembre
2008, n. 88)
Si tratta, conviene ricordarlo, della deroga che ha reso possibile applicare in Italia l’ormai noto regime dei contribuenti minimi, di cui all’articolo 1, commi da 96 a 117 della legge n. 244/2007
Dal momento che l’autorizzazione
concessa dall’Europa si avvia alla scadenza, appare importante sottolineare
sia i problemi di sperequazione dettati dalle attuali disposizioni europee sia
quali possono essere le prospettive a breve di questo regime.
Prima entrare nel merito delle
interpretazioni giuridiche sulla direttiva europea sull’imposta sul valore
aggiunto, appare fondamentale anticipare che l’Italia ha già chiesto la
proroga dell’autorizzazione all’applicazione del regime di franchigia Iva,
per un altro triennio.
Allo stato, le aspettative sono quelle di ottenere una proroga alle stesse condizioni attuali. Queste aspettative sono legittimate, per un verso, dai problemi giuridici legati alle disposizioni della stessa direttiva in materia di Iva (vedi paragrafo 2) e, per altro verso, dall’analisi comparata della franchigia Iva negli altri paesi della UE (vedi paragrafo 3). Problemi, questi, appunto sollevati dallo Stato Italiano per motivare la richiesta di proroga all’applicazione del regime dei minimi. Stiamo, pertanto, in attesa della risposta dall’Europa.
In effetti l’articolo 285 della
direttiva IVA (2006/112/CE del 28 novembre 2010) consente agli Stati membri di
introdurre una franchigia IVA per i soggetti passivi con un volume d’affari
inferiore o uguale a 5.000 euro, mentre il successivo articolo 286 prevede una
c.d. clausola di «stand
still» e di aggiornamento, ma
solamente a favore degli Stati membri che al 17 maggio 1977 applicavano già una
franchigia IVA per i soggetti passivi con volume d’affari pari o superiore
a 5.000 euro, concedendo, peraltro, la possibilità di aumentare la soglia
applicata al 17 maggio 1977, per mantenerne il valore reale.
Sulla base di questi due articoli
si è determinata la situazione discriminatoria tra gli Stati membri, nel senso
che quelli che applicavano già una soglia di franchigia pari o anche superiore
a 5.000 euro al 17 maggio 1977, potevano mantenerla ed aggiornarla, mentre gli
altri potevano introdurla comunque solo con riferimento al limite di volume
d’affari di 5.000 euro. Proprio
questa disposizione ha consentito al Regno Unito di arrivare all’applicazione
di una soglia di franchigia Iva di circa 77.000 euro
Per risolvere il problema connesso
al ridottissimo limite previsto per la franchigia Iva, la Direzione Generale
“Fiscalità” della Commissione europea([1])
aveva tentato di modificare l’articolo 285 con la proposta COM(2004)728, ma la
soglia che aveva proposto di 100.000 euro era stata considerata eccessiva da
taluni Stati, i quali erano arrivati a proporre il veto (vedi allegato pagg.
24-25)([2]);
questa parte della proposta non fu quindi approvata in quella che è
diventata poi la direttiva 2008/9/CE del 12 febbraio 2008.
Questo lascerebbe presagire che il nuovo limite, formalmente attraverso una modifica normativa ovvero, di fatto, tramite la proroga all’applicazione dei regime di franchigia via via concessi, molto probabilmente si attesterà intorno ai 30 mila euro. Questo assunto, oltre a fondarsi proprio sulla bocciatura dell’Europa ad una franchigia più alta, deriverebbe dall’analisi degli attuali regimi di franchigia concessi ai vari stati membri in deroga alla disposizione della direttiva sopra meglio richiamata.
Proprio per i motivi riassunti nei
paragrafi che precedono, nel tempo sono state cocesse agli stati membri delle
deroghe all’articolo 285([3]),
proprio la fine di limitare questa sperequazione (vedi tabella seguente
l’elenco degli stati membri con i diversi limiti di esenzione).
In questa quadro di carattere generale anche lo stato Italiano nel 2007 ha avuto l’idea di chiedere una deroga ai sensi dell’articolo 395 della direttiva IVA, al fine di poter considerare la soglia prevista dall’art. 285 anziché pari a 5.000 euro pari a 30.000 euro. Questa diversa soglia è stata individuata sulla base di esigenze nazionali rapportate alla media delle soglie previste dall’articolo 287 della direttiva IVA per gli Stati membri che hanno aderito alla Comunità dopo il 1° gennaio 1978.
Dopo di noi, la Polonia presentò
una richiesta di deroga analoga approvata nel 2009 (vedi allegato) ottenendo
sempre una autorizzazione all’esenzione nel limite di 30 mila euro, poi
utilizzato solamente nel limite di 25 mila euro.
Nella tabella seguente si mettono in evidenza i diversi limiti previsti per l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto nei diversi stati UE.
a cura di Claudio Carpentieri - Ufficio Politiche Fiscali
(CC/cc/regime minimi)
[1]
La proposizione dello stesso limite nel SBA, si tratta di una prospettiva
della Direzione Generale “Imprese” della Commissione europea, la quale
deve comunque fare i conti con la
bocciatura della proposta già formulata dalla Direzione Generale fiscalità
della medesima Commissione.
[2] Cfr Parere Parlamento europeo; in GU C 285E/2006 P 112 e parere Comitato economico e sociale; in GU C 28/2006 P 86.
[3] Le deroghe sono state concesse ai sensi dell’articolo 395 della stessa direttiva in materia di imposta sul valore aggiunto.