COMUNICAZIONE TRIBUTARIA 74  (versione pdf. )

 

 

Roma, 4 novembre 2009

 

 

Oggetto: TIA (Tassa di Igiene Ambientale) e applicazione dell’imposta sul valore aggiunto  - Incostituzionalità – Sent. Cost. 16 luglio 2009, n. 238/09

 

 

 

Sommario

 

 

1. Premessa.

2. Conseguenze dirette ed indirette emergenti dalla nuova interpretazione della Consulta.

3. Il comportamento attuale dei Comuni e degli enti gestori del servizio di smaltimento dei rifiuti alla luce di una futura soluzione  normativa sulla questione.

4. Un possibile scenario futuro che potrebbe determinare un aumento di costi per le imprese.

 

 


1. Premessa

La sentenza della Corte Costituzionale del 16 luglio 2009, n. 238/2009 (allegata alla presente), sebbene indirettamente, ha sancito la natura tributaria della TIA (Tariffa di Igiene Ambientale) ([1]) parificandola alla TARSU (Tariffa sui rifiuti solidi urbani).

Secondo la Corte Costituzionale, infatti, nella Tariffa, indipendentemente dal «nomen iuris» utilizzato dalla normativa, sono individuabili gli elementi di «doverosità della prestazione, di mancanza di un rapporto sinallagmatico tra parti e di collegamento di detta prestazione alla pubblica spesa in relazione ad un presupposto economicamente rilevante» che ne identificano la natura tributaria. Come la stessa Corte Costituzionale ha sottolineato, la natura tributaria della tariffa determina, conseguentemente, la non assoggettabilità ad IVA della stessa, superando, quindi, quanto indicato in numerose pronunce fin qui emanate dall’Agenzia delle Entrate (cfr. Ris. Ag. Entr. 17 giugno 2008, n. 250/E).

Gli effetti della nuova interpretazione della Corte Costituzionale hanno fatto sorgere pesanti dubbi tra i contribuenti che, seguendo la linea interpretativa dell’Agenzia delle Entrate, hanno da sempre corrisposto l’imposta sul valore aggiunto loro addebitata dagli enti gestori ovvero dallo stesso Comune.

Le perplessità non sono tuttavia ancora risolte: l’incertezza è ulteriormente aggravata dal fatto che i Comuni che hanno adottato la TIA (circa 1.400 comuni, con una popolazione complessiva di circa 16 milioni di soggetti) continuano, in alcuni casi, a pretendere il tributo, nonostante la chiara interpretazione della Consulta.

Nel prosieguo si cercherà di illustrare dettagliatamente le conseguenze emerse dalla predetta interpretazione e le modalità per procedere al recupero dell’imposta sul valore aggiunto indebitamente versata, condivise unitamente a Confartigianato.

2. Conseguenze dirette ed indirette emergenti dalla nuova interpretazione della Consulta.

     Il principale problema che si pone, per effetto della retroattività dell’interpretazione della Corte Costituzionale, è la gestione delle richieste di rimborso dell’imposta sul valore aggiunto già eventualmente pagata.

Al riguardo, dovrebbe essere prossima  l’emanazione di una norma specifica tesa a regolare e ad individuare una procedura semplificata di rimborso. In attesa della citata disposizione normativa, si ritiene opportuno ricordare le diverse procedure per il recupero dell’imposta sul valore aggiunto, previste dalle disposizioni attualmente vigenti, che potranno essere utilizzate nelle ipotesi in cui non si ritenga di attendere l’emanazione della citata norma. 

Secondo le disposizioni attualmente in vigore, come interpretate dalla Corte di Cassazione e dalla Corte di Giustizia UE, le procedure da seguire per la richiesta di rimborso dell’Iva nelle ipotesi di titolari di partita Iva, possono risultare complicate e costose da gestire.

La considerazione di carattere generale effettuata dalle citate Corti, riguarda le ipotesi nelle quali in fattura venga addebitata un’imposta sul valore aggiunto che risulti non dovuta.

In questo caso, l’importo corrispondente deve essere considerato alla stregua di una pretesa indebita di una somma di denaro che non può essere qualificata come Iva ([2]). Sulla base di questo presupposto:

1)       per i contribuenti che versano la TIA con riferimento alla propria abitazione privata, si pone il problema di come recuperare l’imposta sul valore aggiunto pretesa illegittimamente dall’ente gestore ovvero direttamente dal Comune. In questo caso si ritiene necessario presentare una richiesta di rimborso dell’IVA erroneamente addebitata, direttamente all’ente gestore ovvero al Comune, entro il termine di prescrizione ordinaria decennale ([3]). A sua volta il Comune ovvero il gestore potranno presentare una istanza di rimborso all’Erario, da effettuarsi entro due anni dalla data in cui è stato effettuato l’eccessivo versamento del tributo, ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs n. 546/1996;

2)       nelle ipotesi in cui la TIA venga pagata con  riferimento alla propria impresa ovvero nell’ambito dell’esercizio di lavoro autonomo, gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale cambiano a seconda se l’impresa o il professionista operino in regime di detraibilità totale o parziale dell’imposta sul valore aggiunto:

o        nell’ipotesi in cui il titolare di partita Iva operi in regime di detraibilità totale dell’imposta sul valore aggiunto, si dovrebbe procedere alla rettifica dell’imposta sul valore aggiunto allora detratta, procedendo al versamento della stessa all’Erario. L’importo da restituire all’Erario dovrà poi essere richiesto con istanza motivata dall’ente che ha proceduto all’emissione della fattura (ente gestore del servizio o Comune);

o        nelle ipotesi in cui il titolare di partita Iva operi in regime di detraibilità parziale ovvero operi in regime di indetraibilità, la procedura da seguire dovrebbe essere diversa. Infatti, in questo caso:

Ø       per la parte detraibile dell’imposta si dovrebbe operare nei modi descritti nell’alinea precedente;

Ø       per la parte indetraibile si dovrebbe presentare una istanza di rimborso al soggetto che ha emesso la fattura per lo smaltimento dei rifiuti sempre entro il termine di prescrizione decennale. Quest’ultimo, poi, potrà procedere ad effettuare la richiesta di rimborso all’Erario. In questo caso occorre sottolineare che l’ottenimento del rimborso dell’IVA da parte del Comune ovvero dell’ente gestore del servizio – per la parte indetraibile – determinerebbe anche l’emersione di una sopravvenienza attiva da sottoporre a tassazione.

E’ evidente che la procedura di recupero dell’imposta sul valore aggiunto indebitamente versata all’Erario prevista dalle attuali disposizioni normative, oltre ad essere di complicata e costosa applicazione, mostra delle asimmetrie penalizzanti nei termini di prescrizione per la presentazione delle diverse istanze di rimborso. Infatti, mentre l’istanza di rimborso che deve effettuare il soggetto che ha versato l’imposta sul valore aggiunto direttamente al Comune ovvero all’ente gestore del servizio, si prescrive in ogni caso decorsi dieci anni dalla data del versamento ([4]), l’istanza di rimborso che il Comune ovvero l’ente gestore devono effettuare all’Erario, si prescrive decorsi due anni dal versamento ai sensi dell’articolo 21 del D.Lgs n. 546/1992.

3. Il comportamento attuale dei Comuni e degli enti gestori del servizio di smaltimento dei rifiuti alla luce di una futura soluzione normativa della  questione

Da più parti è stato rappresentato che le aziende di gestione del servizio di smaltimento dei rifiuti ovvero gli stessi Comuni, stanno continuando a fatturare secondo le modalità precedenti creando incertezze tra gli utenti del servizio con una ovvia differenza tra i privati e gli operatori commerciali: i primi possono porre il problema di non pagare l’imposta e di contestare l’irregolare fatturazione, mentre per i secondi si aggiunge il problema della detraibilità dell’IVA esposta in fattura.

Sentita a tal riguardo, per le vie brevi, l’Amministrazione Finanziaria è stata fornita assicurazione che i problemi messi in evidenza nella gestione dei rimborsi – in modo particolare per i soggetti titolari di partita IVA – sono all’attenzione degli uffici legislativi dell’Amministrazione e degli stessi si è tenuto conto anche negli incontri informali avvenuti con l’ANCI (in proposito vedi la risposta del Sottosegretario alle Finanze Daniele Molgora all’interrogazione parlamentare del 23.09.2009, n. 5-01807 Fluvi e Causi). In sede di soluzione legislativa  dovrebbe anche tenersi  conto del problema dell’Iva addebitata e della sua detraibilità per i soggetti esercenti attività di impresa o di lavoro autonomo.

La Confederazione si attiverà affinché l’imposta addebitata, sino alla data in cui la problematica non troverà una propria soluzione legislativa, possa essere legittimamente detratta in tal senso prime rassicurazioni sono pervenute dall’amministrazione. .

4. Un possibile scenario futuro che potrebbe determinare un aumento di costi per le imprese.

Dalla corretta applicazione della sentenza della Corte Costituzionale, emergono conseguenze in merito alla natura del documento emesso per richiedere il pagamento della TIA. Infatti, le richieste relative alla TIA inviate agli utenti non potranno più qualificarsi come fatture (alla stregua di quelle per l’acqua, il gas, l’energia elettrica, ecc), ma rappresenteranno  veri e propri atti di accertamento e di liquidazione di un tributo "con l'ovvio corollario che, avendo natura tributaria, devono possedere i requisiti richiesti dalla legge per gli atti impositivi" ([5]).

Pur nell’incertezza circa la soluzione che il legislatore intenderà adottare, resta indubbio che se il Comune affiderà  la gestione per la riscossione del tributo – non del corrispettivo di un servizio - all’ente gestore, non si creerà un problema di indetraibilità IVA per lo stesso ente gestore. Infatti, l’ente gestore incaricato del servizio di raccolta rifiuti fatturerà al committente – cioè al Comune – il proprio servizio ed, ovviamente, applicherà, secondo le ordinarie disposizioni tributarie, l’imposta sul valore aggiunto ([6]).

Come ben si comprende, lo scenario si complica con la conseguenza che nell’ipotesi appena delineata sarà il Comune ad essere inciso dall’Iva fatturata dall’ente gestore, determinando dei maggiori costi rappresentati dall’Iva indetraibile per il Comune. Tale circostanza con ogni probabilità, potrà indurre  i Comuni ad aumentare proporzionalmente le tariffe del servizio.

L’ovvia conseguenza sarà che per i privati il costo del tributo potrebbe non cambiare (da 100 + Iva al 10% si passerà ad un tributo di 110), mentre per le imprese il costo netto da 100 passerà a 110. Il rischio, quindi, è rappresentato da un possibile aggravio di costi per le imprese.

 

a cura di Claudio Carpentieri  - Ufficio Politiche Fiscali

 

(CC/TIA_IVA)

 

[1] La “Tariffa d’igiene ambientale” non deve essere confusa con la “Tariffa integrata ambientale” istituibile dai Comuni in sostituzione della prima, ma fino ad oggi ancora non introdotta per la mancata approvazione del Regolamento ministeriale, da emanarsi entro il 31 dicembre 2009.

[2] In particolare, la Corte di Cassazione, con sentenza del 10 giugno 1998 n. 5733, ha chiarito che “allorché un’operazione erroneamente è stata assoggettata ad Iva “…….” il cedente (il fornitore) ha diritto di chiedere all’Amministrazione il rimborso dell’Iva; il cessionario (il cliente) ha il diritto di chiedere al cedente la restituzione dell’Iva pagatagli in rivalsa; l’Amministrazione ha il potere/dovere di escludere la detrazione dell’Iva pagata in rivalsa dalla dichiarazione Iva presentata dal cessionario“. Con successiva sentenza del 13 marzo 2000, n. 2868,  la Corte di Cassazione ha chiarito che quanto sopra opera anche nel caso di errata applicazione di aliquota (che è il caso di cui si tratta), ribadendo che “il cessionario infatti ha il diritto a ripetere dal cedente, e, correlativamente quest’ultimo ha l’obbligo di restituire al cessionario l’importo pagato indebitamente“. In proposito vedi anche Cass. 15.10.2001, n. 12547 (Caso Genius Holding). Per quanto riguarda la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE sulla possibilità di chiedere il rimborso di una imposta indicata in fattura vedi Sent. 13.12.1989 C-342/87 (caso Genius Holding); Sent. 19.09.2000 C-454/98 “Schmeink & Confreth  e Strobel” nonché la Sent. 06.11.2003 C-78, 79, 80/02 “Sig.re M.K.; P. e Sig. V.”

[3] Nello specifico entro i termini della prescrizione ordinaria di cui all’articolo art. 2946 del c.c.

[4] Nello specifico entro i termini della prescrizione ordinaria di cui all’articolo art. 2946  del c.c.

[5] Vedi  in tal senso l’intervento di Matteo Vagli pubblicato il 09/09/2009 su Fisco Oggi.

[6] A tal proposito è importante ricordare che le Aziende che fanno riferimento a Federambiente e alla sua Circolare sull’argomento del 29 luglio scorso abbiano invece evidenziato “come una scelta del Legislatore che desse seguito ai principi introdotti dalla Corte Costituzionale, determinerebbe l’indetraibilità, da parte del gestore del servizio dell’IVA pagata ai propri fornitori di beni e servizi utilizzati nello svolgimento del servizio stesso, con conseguente ricaduta, in termini di maggiori costi, di tale indetraibilità in capo agli utenti.“.